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3 settembre 1982 – 3 settembre 2019 – Gli alamari, la fedeltà e il sacrificio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa

di LUIGI SPARAGNA

Martedi 3 settembre la città di Palermo ha chiamato a raccolta le sue forze migliori, quelle oneste, per commemorare l’eccidio del Generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, avvenuto per mano mafiosa nel 1982. Mi è necessario un passo indietro per poter dare corpo al commento su questo episodio. Nel 1982 il Generale Carlo Alberto Dalla chiesa lasciava il servizio attivo nei Carabinieri, andava in pensione per limiti di età. Quale ultimo atto del suo servizio, si recò presso la Scuola allievi Carabinieri di Roma, nella via che oggi porta il suo nome, per salutare la Bandiera di Guerra dell’Arma dei Carabinieri. Non lo fanno tutti i Generali. Lo fece Lui. Ero Tenente, alfiere della Bandiera, e perciò ricevetti l’ordine di recarmi nell’ufficio del Comandante dove era custodita la Bandiera, e presenziare al saluto. Aperta la bacheca che custodiva il glorioso vessillo, subito dopo uno sbattere di tacchi del personale di guardia anticipò l’ingresso nell’ufficio del Generale Dalla Chiesa seguito, un passo indietro dal Colonnello Comandante. Il Generale  si pose innanzi alla Bandiera, lo sguardo fisso sul tricolore, sollevò la mano al berretto per il saluto, la tenne in quella posizione per almeno un minuto. Il volto non accennava nessun movimento, quasi fosse una statua. Nella stanza c’era un silenzio innaturale tanto che non si percepivano neppure i rumori esterni. Un minuto che sembrò durare un’eternità, fino a quando Dalla chiesa non riportò il braccio del saluto sulla posizione di “attenti” e solo allora noi presenti, immobili come statue, potemmo percepire il respiro del Generale, quasi l’avesse trattenuto fino a quel momento. Prima di andare via fu salutato da tutti gli Ufficiali riuniti al suo cospetto, e manifestandoci i suoi sentimenti, affermando tra le tante cose la frase altre volte già detta e che è divenuta simbolo stesso di Dalla Chiesa “i Carabinieri portano gli Alamari cuciti sulla pelle”, esortò tutti a spendersi con ogni energia per affermare la giustizia di cui siamo custodi e che nella Bandiera dei Carabinieri trova la sintesi della dedizione e del sacrificio.

Il Generale, nominato Prefetto, con i suoi Alamari cuciti sulla pelle, fu inviato a Palermo con la missione di contrastare la mafia. Era temuto dai mafiosi al vertice della cupola. Ne avevano ben motivo, lo Stato aveva calato nell’arena il suo miglior gladiatore, quel Generale divenuto mito della lotta alle brigate rosse. Un combattente puro, come non se ne vedevano da tempo, che ben oltre qualche critica che ogni uomo di successo si guadagna, aveva servito su un piatto d’argento i nemici della democrazia a quei governanti che, sordi alle richieste di strumenti operativi specifici avanzate da Dalla Chiesa, e quantomeno colpevolmente lenti nel fornirglieli, ne hanno decretato la condizione di solitudine che è stata fatale al nemico numero uno dei criminali. I processi celebrati per portare alla luce la “trattativa stato – mafia” hanno gettato ombre sulla inconsapevole inerzia di chi avrebbe dovuto fornire al Generale Prefetto le armi di cui aveva bisogno. La sua esecuzione, costata la vita anche alla moglie e al suo agente di scorta, perpetrata con assoluta ferocia e platealità nel rimettere agli sguardi di tutti il corpo martoriato di proiettili fino all’inverosimile, non ha svilito il Mito, lo ha solo confermato, rafforzato, trasferito alle generazioni che in Lui avevano riposto la speranza di una rivincita che oggi si sforzano di ottenere, nonostante tutto. Resta però l’amarezza, in chi ha tratto dai suoi insegnamenti l’esempio a sentire gli “Alamari cuciti sulla pelle”, di avere perso un Eroe e vanto della lotta al crimine e all’ingiustizia, senza vederlo lottare ancora una volta come avrebbe saputo fare, al servizio del Paese.

Le mafie uccidono gli uomini, li uccidono vigliaccamente, non in combattimento alla pari, lo Stato dispone di guerrieri valorosi, ha il diritto di mandarli in battaglia ma ha il dovere di fornirli di armi adeguate perché possano compiere il loro dovere.