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#Appuntamentoconlastoria# – Primo Novembre 1943: il sacrificio di Pontecorvo

di Umberto Grossi

Sono trascorsi 76 anni  da quel 1° novembre 1943 e anche quest’anno con una funzione religiosa e una cerimonia civile, Pontecorvo commemorerà i Caduti del bombardamento e ricorderà la sua totale distruzione.

Nonostante il tempo trascorso, non si  è affievolito nella memoria di tutti, il ricordo di tanti loro Cari, scomparsi  in  circostanze così tragiche. Il dolore  e il ricordo di quei Morti non sono sopiti né svanirannop erché appartengono alla storia di Pontecorvo, a quella pagina  più tragica della sua millenaria esistenza.

Sulle rive del “Verde” Liri, citato da Dante per ben due volte nella Divina Commedia, Pontecorvo in quel 1° Novembre  subì il  primo, e inaspettato, dei bombardamenti che si susseguirono fino al mese di maggio del 1944 e che ne causarono la totale distruzione, riconosciuta al 100 per cento.

La Gazzetta Ciociara-periodico indipendente- del 25/10/1957, nel dare notizia delle celebrazioni che si sarebbero tenute in occasione del 14° anniversario del bombardamento, così descriveva quello che accadde quel giorno;

Sussurrava ancora la terra e battevano i cuori per i frequenti e disordinati bombardamento per le campagne, quando il carosello degli aerei s’iniziò a sorpresa.

L’orfanotrofio del Sacro Cuore fu raso al suolo, né suore né orfanelle si salvarono; il Duomo, gremito perché giorno festivo, seppellì letteralmente Sacerdoti e fedeli, il mercato ed il Foro Boario, nell’eccessiva affluenza di rivenditori e forestieri, mitragliati a bassa quota,ridotti a campo di cadaveri; l’Ospedale civile, unico asilo all’umanità di tanti sofferenti e ripieno di infermi e feriti, fu abbattuto  pur con i segni qualificativi della sua immunità; il Cimitero, tra tra le cui tombe si era cercato  scampo, divenne cumulo di rovine; le strade e le piazze sparirono sotto le macerie dei palazzi e delle abitazioni distrutte, le stesse rovine furono sconvolte, i feriti non ebbero soccorso, i Morti non furono composti a sepoltura.

Tra il rombo assordante e micidiale degli aerei , il fumo mefitico e la polvere che si elevavano ad oscurare il sole, i boati che scuotevano terribilmente il suolo, e le bombe incendiarie e dirompenti, che scatenavano la rovina e il terrore, tra le grida e gli strazi, che in quell’eccidio infernale consumarono l’olocausto degli uomini e delle cose, si trovarono accomunati, vittime dell’efferatezza umana,, gli steli di migliaia di vite inermi e innocenti, stroncate irreparabilmente nella distruzione della Città.

Come furie disperate, le madri urlarono invocando i propri figli, i genitori piansero il focolare distrutto, le salme dei cari di famiglia, travolte dall’uragano e dall’angoscia, attesero invano al meritata sepoltura; nelle abitazioni, lontane dalla fatale bufera, giammai ritornò il figlio al padre!

Ma il sacrificio non era ancora compiuto. Anzi allora cominciava”.

A quel triste giorno il compianto maestro Bernardino Pulcini ha dedicato una significativa poesia intitolata

“L’Ognissanti del Quarantrè”

Il mio paese

ricordo posato

nel verde

della valle del Liri

dal cielo turchese

cosparso di stille

vermiglie incendianti

le cento finestre

sgranate pupille

nell’ultimo sole autunnale

delle case di Santa Maria.

Paese patriarcale

sereno come grembo materno

dai grandi silenzi

ed innumerevoli voci

dal fiume, dai boschi,

dalle strette viuzze

quasi abbracciate,

folate

di risi, di piccoli pianti,

di arcani sospiri,

di canti innamorati:

organismo vivente.

Ma venne l’amaro

Ognissanti del Quarantatré.

Nel tepore estivale,

dal cielo chiaro

come pupilla di bimbo,

il limbo

della preistoria

-un’ombra che dura,

ahi quanto!-

avvolse dei Santi la gloria.

Il popol pregava

con voci frementi

Libera nos, Domine,

Ab omnibus malis,

praeteritis et futuris

quando eruppe corrusca

infernale tregenda

dall’empio cielo dell’uomo

e rombi e boati di bombe

squassaron le mura ancestrali.

Pregava  A peccato

Simus semper liberi,

Et ab omni

Perturbatione securi.

Sugli animi puri

d’ignote paure

nell’Ognissanti del Quarantatré

cadde torvo

il dolore su Pontecorvo

greve di fumo.

Frammisto

al Sangue di Cristo

il sangue colò dall’altare

della Cattedrale

dai preti officianti

dai fedeli oranti

dai malati dell’ospedale

da tutte le suore

del Monte Calvario

-avvolte in un solo sudario-

dai bimbi innocenti

innocenti come tutti i Santi.

Tutti i Santi del Quarantatré,

Un’ala di piombo, ricordo,

copriva

il mio morto paese

nel verde mare

della

Valle del Liri.

“Fu un inferno –Morì tanta gente e crollò tutto” , queste brevi parole, pronunciate da Cipriano Roefaro, uno dei sagrestani della Cattedrale che ricordava ancora quel giorno con la stessa commozione di allora,  siano di monito alle generazioni presenti e future e li esortino ad impegnarsi  per far sì che regni sempre la Pace.