NIENTE ALTRO CHE LA VERITA’
di Luigi Sparagna
Formula che riecheggia nelle aule giudiziarie, pronunciata dai testimoni, che comunque non li priva della possibilità di rifugiarsi nei “non ricordo” oppure “non sono sicuro” o ancora, “ripensandoci rispetto a quanto già dichiarato credo di essermi confuso e perciò rettifico la mia testimonianza”. L’imputato invece si affida alla formula “mi avvalgo della facoltà di non rispondere”, ed ha anche riconosciuto il diritto di mentire pur di difendersi. Paradigmi in gioco nel processo penale, momento di accertamento della verità, così come essa viene a formarsi nel corso delle udienze. L’attuale Codice di Procedura Penale (vigentedal 1989), prevede una dinamica processuale, (nella prima ora apparsa scopiazzatura del sistema a stelle e strisce) che fa carico al Pubblico Ministero di acquisire le prove del reato, e pur con qualche limitato vantaggio, confrontarsi in aula ad armi pari con la difesa dell’imputato. Tale modello, da noi che ci riteniamo “culla del diritto”, forse ha risentito troppo della culla e quindi qualche volta prende sonno, stalla, insomma dorme e, se sveglio, ingaggia un combattimento tra toghe (inquirenti e difesa) che mette in dubbio tutto e il contrario di tutto, dagli accertamenti della polizia scientifica e dei periti ai metodi tempi e tecniche di acquisizione delle prove, fino alla burocrazia processuale i cui cavilli si abbattono su importanti elementi per irritualità espulsi anzi non ammessi al giudizio. Affermare e accertare la verità oltre ogni ragionevole dubbio non è dunque cosa agevole. Epilogo, una sentenza che assolve l’imputato, ma non risolve il caso. Sono molti, sicuramente troppi, i delitti giudicati e in via di giudizio permeati del dubbio. Yara Gambirasio, Olindo e Rosa, solo per citarne alcuni, Michele Misseri, reo confesso non creduto, e altrettanti quelli dove appare incredibile l’ ipotesi investigativadegli addetti ai lavori, che causa gravi perdite di tempo prima che ci si renda conto di aver preso un abbaglio. Valga per tutti Liliana Resinovich, della quale inizialmente si è ipotizzato il suicidio al ritrovamento della salma. A mia memoria, e di suicidi ne ho visti un congruo numero tanto da poter azzardare una casistica, mai nessuno si è tolto la vita impacchettandosi ben bene in sacchi di plastica dopo essersi nascosto in un bosco. Sarebbe suicida allora anche la povera Serena Mollicone? Palinsesti televisivi specializzati in materia dove si pratica l’indagine ai raggi X da parte di criminologi, avvocati, periti, tutti Sherlock Holmes, ma che qualche volta portano a galla impietosamente gli errori e le forzature degli investigatori e degli inquirenti di ogni tipo e ruolo, nessuno escluso. Quanto giova il risalto mediatico all’accertamento della verità? Ricerca del DNA, telecamere di sorveglianza, celle telefoniche, hanno conquistato il podio delle prove sovrastando i mai vetusti interrogatori di polizia, i riscontri sugli alibi, le perizie tecniche, al punto da affievolire la capacità investigativa tradizionale, patrimonio sempre più ignoto ai titolari delle indagini, magistratura compresa. Questa fluidità, é faretra di ogni avvocato difensore per insinuare quel dubbio che impedisce la ragionevolezza assoluta necessaria per affermare la colpa. Se proprio ci scappa una confessione piena allora si percorre la via delle perizie psichiatriche per dimostrare a tutti i costi l’insussistenza della capacità di intendere e di volere, magari perché da bambini si è avuto un episodio di stitichezza che ha irrimediabilmente turbato l’imputato. L’ autonomia dei magistrati,poi, bisogna pur dirlo, amplifica incredibilmente la sua efficacia, al punto che molti, specialmente se i riflettori mediatici non sono ben puntati, come la manna e senza esprimere alcun coordinamento, attendono i risultati di chi le indagini le fa sul serio e vanno in aula preparati inadeguatamente. Ce ne sarebbe ancora, ma potrebbe sembrar polemica. Di fatto, le criticità di cui ho detto, diventano assist alla difesa degli imputati. Nei tre gradi di giudizio si ribaltano le sentenze come se tutti i giudici dei gradi precedenti (non pochi) fossero incompetenti e incapaci, con grave nocumento per la giustizia percepita. La revisione del codice nel 1989 proiettava lo sguardo ad un futuro processuale dove non si registrasse prevalenza dell’accusa rispetto alla difesa tanto da incarcerare magari un innocente, ma oggi probabilmente molti colpevoli se ne vanno impuniti, il che è certamente meglio tollerabile del caso precedente, ma non è forse troppo? Non è il caso di una revisione diversa e più puntuale rispetto a quella avanzata dall’attuale Ministro?