#Appuntamentoconlastoria# Gennaio 1943 – La tragedia della ritirata dalla linea del Don
di Umberto Grossi
Il mese di gennaio è appena trascorso, come trascorse 77 anni fa quando si consumò la tragedia degli alpini in ritirata dal Don. Infatti il 31 gennaio del 1943, quello che rimane del Corpo d’Armata alpino raggiunge il villaggio di Bol’setroikoje, all’ingresso di una piccola valle che sbocca a Sebekino dove il Comando dell’8^ armata ha fatto affluire da Char’kov ambulanze e camion con viveri e medicinali.
La lunga odissea nella steppa russa ricoperta di neve e di ghiaccio è finita,ma lo spettacolo che si presenta al generale Italo Gariboldi, è sconvolgente. Gli uomini avanzano barcollando, trascinando nella neve i piedi avvolti in stracci di coperte. Sono smagriti, muti, le facce devastate dalla sofferenza e dalla fame,gli occhi infossati dentro le orbite sono spenti, lo sguardo è assente.
Le slitte sono sovraccariche di feriti, che sono coperti con sacchi a pelo, cappotti e teli di tenda. Il generale Gariboldi abbraccia il generale Nasci, che ha guidato fin qui, verso la salvezza, la “Tridentina” e i ventimila sbandati che la seguono.
Ma quando è iniziata la tragedia?
Tutto ebbe inizio all’alba del 13 gennaio con l’attacco da parte delle armate russe. Il 17 gennaio alle ore 12,30 arriva l’ordine di ripiegamento e inizia l’odissea per i soldati delle divisioni “Julia”, “Pasubio”, “Ravenna”, “Torino”, “Cosseria”, “Celere”, “Sforzesca”, “Tridentina”, “Vicenza”, “Cuneense”.
Infatti è tardi, troppo tardi, e questo spiega la tragedia della ritirata, le marce allucinanti nella neve, durante le quali accadono episodi inpensabili (c’è che cammina per giorni con gli arti inferiori congelati); i combattimenti feroci per la conquista di un’isba dove passare la notte, al riparo dal freddo; la fame, le morti, i congelamenti, gli sbandati, i prigionieri, i duri scontri per forzare i blocchi dei russi, nei quali si immolano gran parte della “Julia”, della “Cuneense” e della “Vicenza”, soprattutto a Nikolajevka.
Qui il 26 gennaio, dopo 300 km di marcia nella steppa gelata, 40 gradi sotto zero, abbigliamento autarchico, senza viveri, venne ordinato di attaccare. Al grido “Tridentina…Avanti!!!” il Generale Riverberi e i suoi soldati riescono a passare e quindi può riprendere la marcia verso casa. La speranza della salvezza.
Per molti però non fu così. 5.000 caduti in quel giorno.
Questa breve poesia dal titolo “NIKOLAJEWKA” è significativa di quella situazione:
Io resto qui.
Addio.
Stanotte mi copriro’ di neve.
E voi che ritornate a casa
pensate qualche volta
a questo cielo di Cerkovo.
Io resto qui
con altri amici
in questa terra.
E voi che ritornate a casa
sappiate
che anche qui,
dove riposo,
in questo campo
vicino al bosco di betulle,
verra’ primavera.
Giuliano Penco
Anche diversi Pontecorvesi partirono per il fronte russo e non fecero più ritorno o perché caduti in battaglia o perché dichiarati “dispersi”. Tra essi è ricordato anche un sacerdote, don Antonio Favoccia, dichiarato disperso sul fronte russo per fatto d’armi dal 17 gennaio 1943, e anagraficamente dichiarato disperso nel censimento del 1951,come risulta dagli atti anagrafici del Comune.
Secondo alcune testimonianze, sarebbe stato fucilato dai Russi per non aver voluto strappare dalla divisa la Croce Rossa, simbolo dei Cappellani. (fonte “Martirologio del clero italiano nella Seconda Guerra mondiale e nel periodo della Resistenza 1940/1946-pag. 10)
Nato nel 1911 a Parigi, la sua famiglia abitava in Vicolo del Mercato n. 8 ( ora non più esistente). Soldato di leva del Distretto militare di Frosinone, viene dispensato dal richiamo alle armi nel 1939, in quanto ordinato sacerdote.
Richiamato alle armi per mobilitazione generale nell’aprile 1942, giunge all’ospedale militare di Torino ed incorporato come effettivo al 249° ospedale da campo mobilitato, quale Tenente cappellano, matr. 35561, inquadrato nella Divisione “Torino” e parte per il fronte russo il 26 giugno, dal quale non farà più ritorno.
Sono state richieste notizie sulla sorte di don Antonio all’Associazione di Collaborazione Militare Commemorativo Internazionale “Vojennyje Memorialy” di Mosca, ma la risposta è stata “Gli Archivi di Russia purtroppo non contengono notizie su tali militari”
A seguito di notizie richieste all’U.N.I.R.R. (Uninone Nazionale Italiana Reduci di Russia), si è riusciti a sapere che l’ospedale da campo 249 si trovava a Medova, una ventina di km dal Don, nelle retrovie della Divisione “Torino” e della”Pasubio” e che le due Divisioni si sono ritirate praticamente confondendosi, sullo stesso percorso, passando per Arbusov e Cerkovo.
La valle di Cerkovo cambiò nome e fu chiamata la valle dei morti.
La data di dispersione è quella del controllo dei sopravvissuti della “Torino”, presenti a Cerkovo, dopo la liberazione da parte dei tedeschi dell’accerchiamento, il 15 gennaio 1943. Gli è stata conferita la Croce al merito di Guerra per la partecipazione al conflitto 1940/1943.