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Pontecorvo, mestieri e antiche tradizioni. Lo Strammàro

di Fernando Di Maggio

Il passato insegna al presente come affrontare il futuro

Pontecorvo è da sempre una città dalle caratteristiche prettamente agricole, vocata all’allenamento e per quanto riguarda la coltivazione a al tabacco e al peperone. Altra importante peculiarità è stata quella ARTIGIANALE. Ogni rione era caratteristico di una attività. I cannatari a Corso Garibaldi, i funai/bastai a Santo Stefano, i fabbri ferrari in via dei Ferrari e a Sant’Oliva, i facocchi(costruttori di carri) in aperta campagna, gli STRAMMARInel rione San Rocco, quartiere da cui io provengo. Vi erano poi altri mestieri sparsi per la città come barbieri, calzolai, falegnami, stagnini e tanti altri. I miei nonni paterni, almeno per sentito dire da persone anziane, sono stati degli ottimi strammari, tanto che insieme ad altri amici, durante una giornata di un antico carnevale sono riusciti a confezionare un abito con la “stramma”, giacca e pantalone.

Ma chi sono quegli artigiani chiamati STRAMMARI?

Sono dei cittadini o contadini che una volta lavoravano, in modo artigianale, la stramma, contribuendo all’economia familiare e della città. Con la “stramma” si costruivano svariati oggetti di tipo quotidiano, da scope a tappeti, da sporte (borse per la spesa), all’impagliatura di oggetti di vetro, dall’oggetto per pulire il forno, “glú mugnərə”, a bambole per il giuoco delle bambine.  Era quindi una delle più importanti attività artigianali per l’economia della città. La lavorazione della “stramma” risale alla notte dei tempi, già gli antichi egizi lavoravano questa fibra vegetale per la costruzione delle funi per le loro imbarcazioni. Gli antichi i romani la adoperavano per legare la vigna. Questa attività rientra così di diritto fra gli antichi mestieri svolti una volta a Pontecorvo. Con orgoglio, per ricordare i nonni strammari, e per una sfida con me stesso sto cercando di imparare questa antica lavorazione, non so con quale risultato, ma ci provo.

Ma che cosè quella pianta erbacea che in dialetto chiamiamo “stramma?

La “stramma” è un’erba fibrosa,alta anche oltre i due metri e della larghezza poco meno di un centimetro, fa parte della famiglia delle graminacee,comunemente chiamata erba taglia mani per la sua capacità ad essere tagliente, strame o sparto in italiano.

Il termine scientifico è Ampelodesmos Tenax Link. Ampelodesmos sta per legatura di viti, Tenax per la sua tenacia. Link dal botanico tedesco che l’ha nominata Johann Henrich Friedrich Link (1767-1851).

La “stramma” ha avuto un’importanza tale per l’economia locale da essere vissuta nel quotidiano almeno in: tre diverse attività giornaliere.

1. Tradizione, oltre alla tradizionale lavorazione la “stramma”, la ritroviamo in quella che possiamo chiamare una tradizione nella tradizione ovvero la “karavèsəma”. È possibile considerarla tale in quanto la bambola quaresimale, almeno una volta, si confezionava con una scopa di “stramma”;

2. Lə fémmənə də SancəRòkkə nən dórmegnə né jórgnəné nòttə, la macìna gləfòka glù kurə métəgnə l’èrva ku glù məssùrə; Le donne di san Rocco Non dormono né giorno nénotte, la mattina sono focose mietono l’erba con il falcetto.

Il canto. La ritroviamo nella canzone locale, ovvero gli stornelli, sotto forma di erba ma è sicuro che si parla di “stramma”.

3. Giuoco, nell’attività ludica delle bambine dato che una volta le bambole, almeno per le bambine del ceto medio basso, erano confezionate con una scopa di “stramma”. Ecco che la “stramma” la troviamo in almeno tre attività giornaliere della nostra comunità.

Le fasi di lavorazione della “stramma” sono quattro e si dividono in:

1. Raccolta, si eseguiva la mattina presto, prima del sorgere del sole, sui monti del nostro comprensorio e accompagnando la giornata da scanzonati stornelli;

2. Essiccazione, avveniva a casa o sul posto di raccolta in modo che più leggera se ne portava a casa una maggiore quantità, per paura di furti si dormiva anche sul luogo;

3. Ammorbidimento, si immergeva in acqua la quantità necessaria da lavorare in modo da essere flessibile e lavorabile in maniera più semplice;

4. Battitura, si eseguiva con uno strumento chiamatomazzukkə, una sorta di clava di legno duro, di solito di olmo o quercia. Lavorazione necessaria per sfibrare la “stramma” per rendere la lavorazione più semplice, e che la fibra non si spezzi;

Gli strumenti necessari per costruire manufatti sono quattro:

1. Məssúrə, il falcetto è l’unico strumento che veniva comprato da fabbri ferrai, gli altri erano autoprodotti. Il falcetto è specifico per la “stramma”, dalla lama seghettata per facilitare il taglio delle fibre per la loro durezza;

2. Aghə, anch’esso di legno di ulivo, in seguito di ferro serve per la cucitura dei manufatti;

3. Mazzukkə, una sorta di clava di legno duro, di solito di olmo o quercia;

4. Glù tòkkə, un ceppo di solito di legno o anche in pietra necessario per la battitura.

Gli elementi essenziali per costruire un qualsiasi manufatto sono due:

1. Spaghə, un cordino intrecciato con due coppie di fili di “stramma”, della lunghezza necessaria all’elemento da eseguire;

2. Céttəla, è assimilabile ad un nastrino composto dall’intreccio di 3, 5, 7, 9 coppie di fili di “stramma”. Di solito si fa a 7 coppie di fili, della lunghezza necessaria all’elemento da eseguire.

Una volta imparato ad eseguire questi due elementari elementi, con un po di fantasia e manualità si è pronti ad eseguire qualsiasi manufatto. Nella foto alcuni esempi di alcuni manufatti, da me eseguiti, con questa straordinaria fibra vegetale che è la “stramma”.

Ne sono quasi certo che in un prossimo futuro, vuoi per l’eliminazione della plastica, vuoi perché la “stramma” è una fibra vegetale naturale e biodegradabile, molto probabilmente si ritornerà anche solo a livello turistico a far sì che questa attività artigianale risorga.