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STUPRI DI GUERRA

di Luigi Sparagna 

E’ l’espressione che indica le violenze sessuali commesse dai soldati in tempo di guerra in danno delle popolazioni contro le quali si sviluppa il conflitto. Siamo nel mese di maggio, dedicato alle donne, in primo luogo alla Regina delle donne, la Madonna madre di Gesù, e non di meno è il mese della festa della Mamma. Madre di figli oppure no, il pianeta donna caratterizza questo periodo dell’anno in cui siamo in primavera inoltrata ma non ancora in estate, e i profumi nell’aria, il bel tempo in generale si associano mirabilmente alla figura della donna, capace di riunire in sé le migliori doti dell’essere umano. Proprio questo universo a tutti così caro rievoca il peggiore dei momenti di cui le donne sono state vittime nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, quando proprio il nostro territorio interessato dal passaggio di truppe straniere, vuoi nemiche vuoi amiche, riversò sulle donne Ciociare la peggiore delle violenze. E’ oramai saldamente impresso nel ricordo della guerra quello delle truppe Marocchine che stuprarono al loro passaggio le molte donne che certamente non pensavano di poter essere oggetto di tanta violenza. Non solo gli stupri, ma ogni genere di violenza subirono oltre allo stupro, e le poche sopravvissute alle ferite loro inferte, morirono in una sorta di agonia che trascinò nella disperazione le loro famiglie, impotenti al cospetto di crimini di tal fatta. Le “marocchinate”, l’appellativo che le indicò al mondo, non rende l’idea della straziante violenza subita. Chi è più vecchio d’età avrà sentito chissà quanti racconti dai nonni che vissero quei terribili anni. Tutti certamente non possiamo dimenticare la mirabile interpretazione di Sofia Loren nel film “La Ciociara” che nell’immagine di cartellone oltre che sulla scena, vomita la sua rabbia accasciata a terra, disperata e impotente. E’ amaro doverlo pensare, ancor più doverlo ammettere, ma crimini di tal fatta non sono semplicemente lo sfogo degli istinti bestiali delle truppe combattenti, sono purtroppo la tolleranza dei comandanti (non compete la C maiuscola) che limitandosi a fare da spettatori ottengono di tenere a bada l’aggressività delle truppe e sviluppano uno scenario di guerra psicologica che produce i suoi effetti. Terrorizzare le popolazioni civili fino ad indurle a fuggire dai loro paesi vuol dire bonificare il territorio dove potersi muovere in sicurezza. Purtroppo questa variante degenerata della guerra psicologica non risparmia molti, che pur non essendo marocchini, si sono macchiati di tali crimini di guerra. Per non essere frainteso, per non correre il rischio di voler giustificare, mi limito a citare che da una ricerca in Internet sul colonialismo italiano durante la conquista della Libia ad opera del regime fascista, anche i soldati italiani non furono indenni dal commettere mostruosità di tal fatta, pare ammesse dallo stesso Rodolfo Graziani che comandava le truppe nostrane. Insomma, la Guerra giustifica il delitto e la violenza di cui è permeato. La Guerra è spettatore del modo vile di uccidere una persona. Non si tratta di affrontarsi armi in pugno e combattersi solo per avere una divisa di diverso colore, che già di per sé è una bestialità immane, ancor più in questo millennio che dovrebbe aver fatto passi da gigante rispetto agli scontri nell’arena, ma così non sembra, si tratta di stigmatizzare, condannare, affidare alla memoria lo scempio di cui l’essere umano è capace contro sé stesso. Saranno stati in molti, anzi molte le donne vittime della scelleratezza di cui parliamo, ma è significativo che la richiamata nota pellicola cinematografica abbia per titolo “La Ciociara”.